The Hateful Eight: Un western a porte chiuse
- Lorenzo Puglisi
- 22 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Penso sia capitato ad ognuno di noi, almeno una volta nella vita, di rendersi conto improvvisamente di non aver visto dei film considerati dei capolavori di cui per un motivo o per un altro abbiamo sempre rimandato la visione. Oggi vorrei parlarvi di un’opera di uno tra i miei registi preferiti, ovvero Quentin Tarantino (“Tarantulino” per gli amanti di Bojack Horseman), l’unico suo film che mi mancava da vedere e che, grazie alla quarantena, sono riuscito finalmente a recuperare. Sto parlando del suo ottavo film, di cui è non solo regista ma anche scrittore, The Hateful Eight, del 2015. Il film mi ha talmente affascinato che ho dovuto vederlo di nuovo il giorno seguente, quasi per rimediare alla mia colpa di aver tardato così tanto a vedere un capolavoro del genere. Stiamo parlando qui di un film fruibile e soprattutto apprezzabile da chiunque, non solo dagli amanti di cinema o del noto regista statunitense, perché mischia insieme più generi cinematografici.
Cos’è quindi The Hateful Eight? Beh è principalmente un western, genere tanto amato da Tarantino (celebre è infatti il suo amore nei confronti degli spaghetti western, soprattutto di Sergio Leone) e con il quale si era già cimentato nel 2012 con Django Unchained, col quale aveva dimostrato ancora una volta la sua bravura in campo registico (nel corso della sua carriera ha toccato più generi cinematografici non fallendo mai un colpo); ma è anche un giallo, uno che riprende lo stilema del delitto a porte chiuse, ovvero quello in cui tutti gli indiziati del crimine si ritrovano chiusi in una casa impossibilitati dall’avere contatti con l’esterno (la scusa più usata, tanto da diventare quasi un cliché è quella della tempesta, che ritroviamo anche nel film di cui stiamo parlando), e visto che siamo in tema, oso aprire una piccola parentesi per consigliarvi un altro film che riprende tale schema, ovvero la commedia del 1985 del regista Jonathan Lynn “Signori, il delitto è servito” (“Clue” come titolo originale). Ma torniamo al nostro discorso principale: potremmo spingerci ad aggiungere che il film può essere considerato anche un horror stilisticamente parlando, perché pieno di pause, suspense e, ovviamente dato che stiamo parlando di Tarantino, sangue, tanto tanto sangue, in poche parole uno splatter (e si sa lo splatter è un sottogenere dell’horror). Tarantino usa in questo film tante tecniche diverse, ed è questo che lo rende un film che ogni amante di cinema dovrebbe vedere: abbiamo i tipici campi lunghi del western, ma qui non vedrete i tipici deserti aridi colpiti dalla luce abbagliante del sole, no, vedrete distese immense di neve, in cui le uniche cose presenti sono alberi, croci di legno (anche la croce, assieme alla figura del cimitero e della bara sono tipiche del western) e il luogo principale nel quale si svolge la vicenda, ovvero l’emporio di Minnie. Abbiamo poi dei fluidi movimenti di macchina, qualche piano sequenza, molti primi e primissimi piani (ancora, l’omaggio a Leone trasuda da tutte le parti). Risulta poi particolare come Tarantino giochi con le dimensioni Spazio-Tempo. Per quanto riguarda lo Spazio abbiamo già detto che si limita all’emporio e alle distese innevate, per quanto riguarda il tempo, ecco, anche questo film come alcuni suoi precedenti, è diviso in capitoli, ma hanno un ordine particolare. Se all’inizio segue un ordine lineare dopo un po’ il tutto cambia, vediamo lo stesso momento, la stessa scena ma dal punto di vista di diversi personaggi (come ogni buon giallo che si rispetti, accadono cose che solo alcuni personaggi notano mentre altri sono impegnati a fare altro), oppure ci mostra ciò che era successo la mattina precedente agli eventi della storia principale per poi tornare al presente e il tutto non risulta per nulla confusionario, anzi, è talmente ipnotico e prende talmente tanto lo spettatore e la sua curiosità che il film lo culla come un’onda. Altro aspetto importante è la colonna sonora, di cui protagonista è il nostro maestro Ennio Morricone, in memoria del lavoro svolto con Leone e che ha valso al film un Oscar, un Golden Globe e un premio BAFTA come migliore colonna sonora. I personaggi presenti nel film sono pochi ma memorabili, a parte alcune comparse (importanti nominalmente ma che vediamo fisicamente solo alla fine del film) i principali sono otto (da qui il titolo del film, ma anche dal fatto che come ho già accennato è l’ottavo film del regista), ovvero: i cacciatori di taglie John Ruth e il Maggiore Marquis Warren, interpretati rispettivamente da Kurt Russel e, attore tarantiniano per eccellenza, Samuel L. Jackson (è doveroso menzionare il magnifico lavoro di doppiaggio italiano fatto da parte del mitico Luca Ward che fa venire i brividi dall’emozione), due ex soldati della Guerra di Secessione diversi tra loro per etica e modo di pensare (il primo non vuole uccidere le sue prede, mentre il secondo ha più il cuore freddo per via di ciò che ha passato) ma che hanno grande rispetto l’uno per l’altro, anche per via di una lettera che Lincoln scrisse a Warren, della cui veridicità dubitiamo fino alla fine. Abbiamo la perfida ricercata attorno cui ruota tutta la storia, ovvero Daisy Domergue, interpretata da Jennifer Jason Leigh, il cocchiere O.B. Jackson (impersonato dall’attore James Parks), lo sceriffo Mannix (Walton Goggins), Bob, il messicano (Demiàn Bichir), il boia Oswaldo (interpretato da un altro attore che in passato ha lavorato con Tarantino, ovvero Tim Roth) e il misterioso Joe Gage (Michael Madsen, l’indimenticabile Mr Blonde de Le Iene). Tutti loro si ritrovano chiusi in un emporio, impossibilitati a proseguire le loro strade per via di una tempesta di neve, nessuno si fida di nessuno, ma nonostante questo si trovano a dover cooperare tra loro, fino a quando le verità non vengono a galla…
Vorrei concludere aggiungendo una piccola curiosità, esistono diverse versioni del film, al cinema stesso venne presentata una versione in digitale, e una in 70mm (in Italia questa versione uscì solo in pochissime sale autorizzate) le quali differiscono tra loro non solo nel formato ma anche nella durata (la 70mm ha circa 20 minuti di film inediti). Esiste poi una versione ancora più lunga del film, una extended cut, definita versione miniserie che era presente su Netflix fino a qualche tempo fa divisa in 4 episodi. Spero abbiate apprezzato questa recensione e come sempre non mi resta che augurarvi una buona visione.

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The Hateful Eight, sì, come giustamente sostieni, credo anch'io sia un film fruibile a tutti, anche se la sua "elegante aggressività" è un qualcosa che esige, forse, una sensibilità di ordine superiore per essere assaporata in tutta la sua ipnotica (hai fatto benissimo a inserire questo aggettivo parlando di questo film) crescente dinamicità, soprattutto nella parte horror-giallistica, se mi è consentita una simile accoppiata definizione. Mi piace molto il fatto che tu abbia sottolineato la presenza della Neve, quasi a essere un immateriale ulteriore attore principale. Il tuo parlare dello Spazio-Tempo mi ha mostrato un movimento... diastolico del film. Un bello articolo, per me è una sintesi ideale: cose evidenti e cose meno evidenti.